Quarto giorno prima delle None di giugno

La mattina dopo, il senatore Publio Aurelio Stazio giaceva sul tavolo dei massaggi, in palestra, abbandonandosi alle cure esperte della bellissima Nefer, la schiava egizia che gli era costata un patrimonio.

Aveva fatto un buon bagno di vapore e poi un tuffo nella vasca gelata: adesso il tocco magico delle mani brunite di Nefer lo stava completamente rilassando... Mentre ogni tensione scompariva dai suoi muscoli contratti, la mente fervida aveva agio di ragionare.

Tutto era cominciato in caserma, ed era lì che bisognava insistere con le indagini, soprattutto tra i reziari. Tuttavia, anche dagli avversari di Chelidone, che pur lo frequentavano meno, si sarebbe potuto apprendere qualcosa, magari da una persona che, per proprie peculiarità, si trovasse in una posizione del tutto speciale, al Ludus Magnus...

- Castore, ho un incarico da affidarti.

- Ne sarei lietissimo, domine - rispose il liberto, portandosi le mani alla fronte - ma purtroppo una persistente cefalea mi tormenta da stamattina...

- Peccato! Be', mi rivolgerò a qualcun altro. Chi, tra i servi, ha l'aspetto più virile e fascinoso? Tullo, forse...

- Tullo? Scherzi? Con quella faccia da pesce lesso... Di che si tratta, domine? - indagò il liberto, prendendo la spugna intrisa di olio profumato dalle mani di Nefer. - Quella pozione che mi ha somministrato il medico Ipparco è davvero portentosa; mi sento già meglio! Stavi dicendo, padrone? – continuò il greco, soffregando energicamente la schiena del patrizio.

- Mi servono informazioni sul tipo di gente che frequentava Chelidone. C'è una ragazza che...

- Nissa! - scattò Castore, pronto.

- Non esattamente - lo deluse il senatore. - Sarò io ad andare a teatro, per conoscere la mima. Tu, invece, indagherai in caserma.

- Ma non ci sono donne, là! - esclamò il liberto, sospettoso, per poi squadrare il padrone con incredulo stupore: - Non vorrai dire Arduina, domine... Non avvicinerei quella pitonessa per tutto l'oro del mondo!

- E per due monete? - contrattò Aurelio.

- Dovrei rischiare il collo con quell'amazzone sanguinaria in cambio di due miseri sesterzi? Fai poco conto della mia persona, padrone: anch'io ho una sensibilità! - ribatté Castore, offeso.

- La tua sensibilità si sentirebbe adeguatamente tutelata con mezzo aureo? - alzò la posta Aurelio.

- Facciamo un aureo e due congi di vino, spese escluse - propose il levantino. - Posso forse corteggiare una donna a mani vuote? Che direbbero, se il segretario del potente Aurelio si recasse a far visita a una fanciulla come un accattone?

- D'accordo, ma limitati a qualche ghirlanda: quella è una gladiatrice, non un'etera.

- Sarà un miracolo se ne uscirò vivo! - sbottò il greco, intascando lestamente la mancia. - E, in ogni caso, mi avrai per sempre sulla coscienza!

 

Al teatro di Pompeo, lo spettacolo era stato un successo.

Finita la pantomima, il pubblico sciamava a frotte nel portico, canticchiando i motivetti uditi dai flautisti e dai suonatori di cetre. Parecchi si soffermavano tra le statue delle grandi attrici che Attico in persona aveva scelto per Pompeo Magno, quando costui si era deciso a donare ai romani il primo teatro stabile: non c'era chi, davanti alle forme marmoree delle famose dive del passato, rinunciasse a confrontarle con quelle della bella Nissa, a tutto vantaggio di quest'ultima.

Erano lontani i tempi in cui la presenza delle donne sul palcoscenico suscitava scandalo. Sebbene le dive strapagate che calcavano le scene fossero ancora considerate dalla legge come “persone abiette”, al pari delle prostitute, il pubblico adorante le elevava sugli altari, e più di un patrizio di antica schiatta si era già rovinato per consegnare il patrimonio avito nelle mani carezzevoli di una mimula.

- Sei sicuro che accetterà di incontrarci? - si preoccupava l'emozionatissimo Servilio, trascinando Aurelio verso il ridotto.

- Certamente. Le ho fatto pervenire un messaggio.

- Chissà quanti ne avrà ricevuti! - sospirò il cavaliere, dubbioso.

- Non accompagnati da bracciali d'oro massiccio, però. Abbi fede, amico mio - lo rassicurò Aurelio. - A Roma, il denaro apre persino le porte del palazzo di Cesare; figuriamoci se non riesce a spalancarci il camerino di un'attricetta!

Tito Servilio lo seguì impaziente, senza smettere un attimo di accomodarsi con le dita nervose la frangia di radi capelli grigi, nell'inutile tentativo di coprire l'incipiente calvizie.

In realtà, il cavaliere aveva tutte le ragioni di sentirsi un po' teso, perché quella sera Nissa aveva veramente superato se stessa: in uno spettacolo dove tutta la capacità espressiva era affidata al linguaggio del corpo, nessuno le stava alla pari nell'infiammare il pubblico con gesti spudorati e movenze voluttuose. Più volte si era addirittura temuto che la platea eccitata invadesse il proscenio o che l'intervento moralista di qualche magistrato zelante mandasse a monte una rappresentazione giudicata troppo lasciva.

- Ah, l'episodio di Ares e Afrodite: lei sola poteva interpretarlo così! Che classe, che temperamento! Tu dici che se io la invitassi... - osò il buon cavaliere.

- Dovresti consigliarti con Pomponia - Lo redarguì Aurelio, fingendo un'indifferenza eccessiva verso le arti di seduzione della provocante mimula.

Intanto la ressa che si era accalcata attorno ai camerini degli artisti stava a poco a poco scemando. Delusi per non essere stati ricevuti, gli ammiratori più fedeli se ne andavano, non senza indirizzare qualche bacio verso la porta crudelmente chiusa.

Quando la calca fu dispersa, lo schiavo portinaio, esibendo un'aria di sciropposa complicità, si avvicinò ad Aurelio e a Servilio: - Nissa vi aspetta, da questa parte!

- Oh Eros, Pothos, Himeros! - invocò Servilio, che non stava più in sé dall'agitazione.

Lo stanzino era piccolo e la mima, rivestita con una tunica piuttosto casta, sedeva allo specchio, attorniata dalle ancelle impegnate a struccarla. Con le palpebre abbassate e l'espressione estatica, la donna si arrendeva languida al massaggio delle ornatrici, accarezzando lentamente un fagotto di pelo morbido che giaceva arrotolato sulle sue ginocchia.

- Ave, senatore Stazio - salutò con un lieve cenno del capo, socchiudendo appena gli occhi vivaci, accesi di un verde vagamente serpentino.

In quell'istante, la pelliccia che Nissa aveva in grembo si animò all'improvviso, rivelando un musetto curioso e attento.

- Ti ringrazio del collare: a Piumina è piaciuto molto - disse l'attrice con noncuranza, additando il prezioso monile donatole da Aurelio, che faceva bella mostra di sé al collo della mangusta.

Servilio, smanioso di far la sua parte, dette all'amico un'energica gomitata, perché si decidesse a presentarlo.

- Il cavaliere Tito Servilio - introdusse infatti il patrizio, ma la ragazza non lo degnò di uno sguardo: abituata a trattare con uomini di ogni tipo, aveva afferrato subito quale fosse l'interlocutore che veramente contava.

- Ti spiace se continuo la toeletta? - chiese ad Aurelio, e nell'accomodarsi meglio sullo sgabello fece in modo che la tunica, quasi per caso, le si aprisse sulle gambe.

- Prego, prego, fai pure - assentì Servilio, rubando la risposta all'amico e mandando giù la saliva.

- Chelidone... - cominciò Aurelio.

- La sua morte è un duro colpo per me: il solo parlarne mi fa soffrire le pene del Tartaro! - esclamò l'attrice, portandosi le mani alla fronte. - Come potrò mai dimenticarlo?

- Non parevi tanto distrutta dal dolore, durante il tuo numero - insinuò il senatore, che mal sopportava le simulazioni dei commedianti fuori dalla scena.

- Quello è lavoro; non ha nulla a che fare con la mia vita privata! - ribatté la giovane, risentita. - Pensa, dover fingere al cospetto di migliaia di spettatori, lì a guardarmi con la bava alla bocca, mentre il mio cuore sanguinava per la perdita del mio amato, insostituibile Chelidone!

- Povera cara... - sospirò Servilio, adorante.

Aurelio cominciava ad averne abbastanza; non gli sarebbe mai riuscito di parlare seriamente con quella donna in presenza di Tito Servilio!

- Tito! - comandò perentorio. - Nissa ha sete: corri a procurarle del vino.

- C'è una taverna qui all'angolo, in un attimo vado e torno!

- Non vorrai offrire a questa raffinata fanciulla del vinaccio da quattro soldi? Prendi la lettiga e corri a comprarlo al thermopolium di Via Nomentana.

- Fin là? Ma ci vorrà un secolo! - protestò il buon cavaliere, che non intendeva essere estromesso dal colloquio.

- Appunto. Prima parti, prima torni - lo liquidò Aurelio, spingendolo via. - E fuori anche voi! - aggiunse rivolto alle ancelle.

L'attrice non ebbe nulla da obiettare. Raggomitolata sui cuscini, si strinse addosso il suo cucciolo con un gesto infantile e rivolse al patrizio uno sguardo titubante.

- E adesso che siamo finalmente soli, dolce Nissa, puoi smetterla di recitare la parte della donna che ha il cuore spezzato - fece Aurelio in modo spiccio. - Prima di tutto, raccontami quanti e quali altri uomini frequentavi, oltre al reziario!

- Mai avrei potuto... - tentò la diva, circospetta.

- Senti, cara - la interruppe il senatore, spazientito – io sono anche un magistrato. Il che significa che posso far interrompere il tuo grazioso spettacolo in qualsiasi momento e trovare persino un'accusa valida per farti frustare in scena, davanti al tuo affezionatissimo pubblico!

- Tu non... - obiettò in qualche modo Nissa, ora meno sicura. A Roma, la posizione di un'attrice soffriva di una certa precarietà, e la donna sapeva bene che il patrizio era in grado di mettere in atto le sue minacce.

- E per quale motivo non dovrei farlo? Sei molto convincente nella scena della fustigazione: la sferza è finta, o ti piace davvero? - incalzò il patrizio, afferrandola poco garbatamente per il polso.

- Cosa vuoi sapere? - domandò l'attrice, liberandosi dalla stretta con un gesto brusco.

Il tono era cambiato, ora: niente più svenevolezze o affettazioni, ma la voce ferma di una donna di affari che discute un Contratto.

- Mi hanno parlato di certe feste a cui andavi con Chelidone. Voglio i nomi degli ospiti, e non certo quelli dei guitti e degli istrioni...

- È gente in vista, spero che sarai discreto... Sono stata spesso presente ai banchetti di Sergio Maurico.

- L'avvocato? - chiese Aurelio, storcendo la bocca e, al cenno d'assenso della donna, continuò: - Quanto ti pagava per esibirti davanti ai convitati?

- Senatore, non ho bisogno di spiccioli. Sai quanto prendo per questi spettacoli? Duecentomila sesterzi, più di quanto molti dei tuoi pari ricavano dalle loro rendite di un intero anno!

- Poco meno di Mnestro! - fischiò Aurelio, ammirato: non era un mistero per nessuno che l'istrione più famoso di Roma pretendesse compensi favolosi, e nemmeno che fosse per Messalina qualcosa di più di un protetto... ma chi avrebbe osato parlare ad alta voce contro l'imperatrice?

- Come mai, allora, accettavi di ballare a casa dei Sergii? - proseguì il patrizio con tono inquisitorio.

- Conosco Maurico da tempo; una volta mi ha difesa in tribunale.

Aurelio rifletté: Sergio Maurico era celebre non solo come principe del Foro, ma anche per essere in combutta con gentaglia ricca e senza scrupoli, che lui riusciva invariabilmente a far assolvere in tribunale. In verità, secondo il diritto, i legali romani non avrebbero potuto incassare denaro da alcun imputato, in quanto il costume voleva che le cause degli amici e dei protetti venissero patrocinate a titolo gratuito. Da tempo, tuttavia, era ormai invalsa la consuetudine che il cliente compensasse in modo tangibile il suo salvatore, profondendo regalie a piene mani.

Nel caso di Sergio, poi, sembrava che valesse davvero la pena di assumerlo, a dispetto delle parcelle astronomiche: raramente un suo assistito era stato condannato, colpevole o innocente che fosse. Il celebre oratore poteva quindi contare sulla gratitudine di amici potenti; inoltre, troppi erano i segreti che un buon avvocato veniva a sapere circa il suo protetto perché questi fosse in grado, un domani, di negargli eventuali favori.

Così, se Nissa era stata coinvolta nel passato in faccende poco chiare, certamente Sergio aveva conservato qualche prova per tenerla in pugno: chiederle di recitare per i suoi ospiti, in fondo, era il minimo che potesse fare... tanto più che il facoltoso avvocato godeva anche della fama di eccentrico anfitrione. Lui e la sorella, infatti, amavano circondarsi di strane compagnie: danzatori, guitti, gladiatori, giocolieri e altri personaggi tra i meno raccomandabili dell'Urbe.

- Eccomi qui! - gridò in quel momento Servilio, comparendo trafelato sulla soglia con un paio di orci in mano. – Ho fatto il  più presto possibile! Sono riuscito a trovare dell'Albano e dell'Erbulo, però hanno solo sette anni di invecchiamento!

- Nulla di paragonabile a quanto mescono i Sergii alla loro mensa; ciò malgrado, almeno per questa volta, la nostra Nissa si accontenterà - dichiarò il patrizio, dando segno di volersi accomiatare.

Ma Servilio esitava, riluttante a uscire, come se stesse per mancare la grande occasione della sua vita. Nissa se ne accorse e gli si avvicinò, languida e sorridente: - Ah, Tito... – sussurrò con voce roca.

Il cavaliere preparò le labbra a un bacio e chiuse rapito le palpebre, per meglio assaporare il magico istante. Avvertì la carezza calda, il tocco lieve della lingua ruvida, l'umidore del naso freddo... e si ritrovò stupito a fissare le pupille furbe della mangusta che Nissa gli stava accostando al viso.

Il buon Servilio, che invero si accontentava di poco, ne fu estasiato. - Che donna deliziosa! - mormorava ancora, sulla strada del ritorno. - Leggiadra, cortese, affascinante...

- Controlla piuttosto di non avere capelli biondi sulla tunica, prima di rientrare! - lo redarguì Aurelio, e lasciò l'amico davanti alla porta, occupato a far scomparire dal mantello, a uno a uno, i compromettenti peli di mangusta.

Morituri te salutant
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